DOCUMENTI
La
liberazione di Firenze
Nella
primavera del 1944 ero a Milano. Avevo assunto la segreteria del
Partito socialista nel territorio italiano ancora occupato dai
tedeschi, da Firenze a Torino, a Trieste e rappresentavo il
Partito socialista nel Comitato di Liberazione dell'Alta Italia.
Con Nenni e Saragat, rimasti a Roma e impegnati nelle trattative
per la costituzione di un nuovo governo, ci eravamo divisi i
compiti. Il mio era al nord, dove a causa degli arresti il Partito
aveva pochi dirigenti e dove ancora si stava lottando contro i
repubblichini e i nazisti. Avevamo due radio ricetrasmittenti, in
contatto con lo Stato Maggiore degli Alleati a Roma. Una era a
Milano, l'altra a Torino. Un giorno il nostro marconista da Torino
trasmette un dispaccio urgente di Nenni: "Situazione
gravissima, urge tua presenza a Roma". Lascio il
coordinamento temporaneo della Direzione a Mazzali e parto
immediatamente. Tramite il monarchico Edgardo Sogno, dovevo
prendere contatti con gli Alleati prima della partenza. Il
viaggio, dunque, era cos� previsto: da Milano in macchina per
Genova; qui in contatto con Sogno che doveva cercare un natante
per raggiungere la Corsica; da l� a Roma con un aereo americano.
Arrivato a Genova dissi a Sogno che a La Spezia avevo degli amici
che avrebbero potuto aiutarci a trovare un'imbarcazione. Vado a La
Spezia. Avevo trovato la strada per cercare il natante, ma
bisognava aspettare qualche giorno. Torno a Genova e vengo a
sapere, invece, che Sogno aveva gi� trovato il motoscafo e mi
aveva piantato in asso, partendo con altre persone per la Corsica.
Di questo episodio Sogno parla nel suo libro intitolato Guerra
senza bandiera; dice di aver saputo da Stallo che non ero
ritornato da La Spezia, e scrive testualmente: " 'Mi
rincresce per il povero Pertini' dissi sbadigliando". Apro
una parentesi. Bisogna tenere presente che in Liguria io ero
conosciuto, che ero evaso da Regina Coeli, che ero stato
condannato a morte insieme a Saragat. Quindi potevo essere
facilmente riconosciuto, rischiavo di essere riconsegnato ai
tedeschi; insomma di essere fucilato. Incontrai Sogno dopo la
guerra e gli dissi: "Hai commesso una cattiva azione che,
nella malavita, si regola in un solo modo: con una coltellata. Io
non appartengo alla malavita, sono un gentiluomo. Ti dico soltanto
che hai commesso un'azione infame". Fu uno scontro che lui
cerc� di dimenticare.
Comunque, a Genova, solo, dovetti provvedere di mia iniziativa per
vedere di raggiungere Roma a tutti i costi. Tornai a La Spezia,
dove c'erano alcuni nostri amici. Questi erano in contatto con un
industriale che riforniva i tedeschi. Siccome a Prato c'era allora
una officina che produceva certi apparecchi che i tedeschi
cercavano, io suggerii agli amici di far dire all'industriale che
c'era urgenza di andare a ritirarli, e che, quindi, doveva essere
rilasciato un lasciapassare tedesco per un automezzo e per chi
l'occupava. Con un caro compagno, che era autista, ottenuto questo
lasciapassare, ci avventurammo per andare a Prato.
Passammo per Carrara, e raggiungemmo la periferia di Lucca, dove
fummo fermati da una pattuglia di tedeschi. Facemmo subito
presente che noi dovevamo raggiungere Prato per una faccenda
importante. Dissero: "No, no, adesso siete a nostra
disposizione. Dovete portarci a un campo dove sono le nostre
truppe; abbiamo urgenza di andare l�". Io non volevo
andarci, perch� era chiaro che, alla fine, uscito da una rete,
sarei caduto nell'altra. Finimmo per� per accettare, perch�,
ovviamente, fecero pochi complimenti. Arrivammo al campo, dove li
lasciammo, sperando che non ci chiedessero i documenti. Ando bene.
Anzi, loro mantennero perfino la promessa di rifornirci di
benzina! Per farla breve, arrivai a Prato con questo compagno di
La Spezia. Prato era un inferno. Il grosso dell'esercito tedesco
stava ritirandosi da Firenze. Tutti gli opifici della citt�
bruciavano. Uno spettacolo terrificante. Erano le 11 di sera. Se
uno il coraggio non ce l'ha, non se lo pu� dare, lo dice anche
Don Abbondio. Il compagno autista a un certo punto si ferma:
"Guarda, Sandro, la macchina non cammina pi�". Ho
intuito subito di cosa si trattava: era paura. Bisognava avere
della comprensione, non potevo imporgli di accompagnarmi. Cos�,
mi avventurai a piedi, per raggiungere Firenze. Incontrai,
ricordo, una vecchietta, che mi disse: "Signore, la stia
attento; sa, ci sono dappertutto pattuglie di tedeschi molto
arrabbiati, perch� sono inseguiti. Stanno abbandonando la zona,
non risparmiano nessuno. E poi guardi: sono le 11 di notte, non
deve esserci nessuno per la strada. Qui il coprifuoco lo hanno
fissato alle 6 del pomeriggio". Io avevo una valigetta, mi
ricordo di aver pensato di assomigliare a Charlot. Ero solo
soletto, e non sapevo che strada prendere per arrivare a Firenze.
La parola disperazione � sciocca, non mi si addice. Per� �
difficile immaginare la situazione in cui ero. Si trattava di
trovare un modo per non andare a finire in mano ai tedeschi;
bisognava imboccare la strada giusta per arrivare a Firenze senza
brutte sorprese.
Mi venne un'idea: mi accostai alla finestra illuminata di una
villetta a un piano, sperando che ci fosse qualcuno ancora
sveglio, e dissi: "Per favore, si pu� affacciare qualcuno?
Ho bisogno di una indicazione". Nessuno si affacciava, e io
continuai a insistere: "E' possibile che nessuno possa
affacciarsi per dare un'indicazione ad un pover'uomo, che cerca la
strada per andare a Firenze? Non so come fare, un po' d'umanit�!".
Sento parlottare e si affacciano due persone anziane; una mi dice
a bassa voce: "Che cosa vuole? Lo sa che qui siamo in
pericolo?". "Si signora - rispondo - ma io sono un
perseguitato, s'immagini come sto!". "C'� il
coprifuoco!" mi rispose. "Appunto per questo - replicai
- mi dica soltanto quale strada devo prendere per andare a
Firenze". "Vada tutto dritto - rispose la vecchietta -
per� stia attento, ch� ci sono le pattuglie di tedeschi, e
quelli che incontrano li fucilano!". Mi incamminai secondo le
indicazioni ricevute, ma poi venni preso da una grande stanchezza;
era quasi l'una. Mi sedetti su un muricciolo con la mia valigetta.
Sembravo davvero Charlot, con quella valigette e le mie povere
cose. Mi misi l�, mi assopii, ma fui svegliato quasi subito da un
colpo di cannone: il proiettile mi pass� sopra la testa. Buum! Ne
fui proprio spaventato. Ho detto che mi ero messo a sedere sopra
un muricciolo, poco distante - io non lo potevo vedere perch� era
l'una di notte - nascosta tra gli alberi, l� nella vegetazione,
c'era una batteria che sparava. Feci un gran salto; e questo fu un
bene perch� mi pass� la stanchezza. Mi incamminai, era buio.
Ogni tanto sentivo transitare qualche rara macchina o avvertivo -
non era difficile riconoscerli - i passi dei tedeschi. I giovani
non lo sanno ma i meno giovani non se lo dimenticano. Quando li
sentivo vicini, mi gettavo in un campo, mi nascondevo nei
cespugli.
Finalmente al mattino, dopo questa avventurosa camminata,
raggiungo i sobborghi di Firenze. Dalla finestra, una signora mi
fa: "Signore...! Guardi che c'� ancora il coprifuoco. Si
metta in qualche portone, non vada in giro cos�!". Questa
solidariet� la si trova in tutta Firenze. Mi infilai in un
portone e stetti l�, tranquillo tranquillo. Un signore usc� di
casa e gli chiesi: "Quando cessa il coprifuoco?".
"Verso le sette o le otto" mi rispose. Io dovevo andare
da Gaetano Pieraccini: questa era la mia meta. Era il mio solo
porto di salvezza. Gaetano Pieraccini, voi lo sapete, era adorato
da tutta Firenze. Ero vicino a un fiumiciattolo, il Mugnone.
Chiesi intorno: "Come si pu� fare a passare tra le maglie
dei tedeschi?". Un signore mi disse: "Per andare in via
Cavour, vada tutto a dritto. Per� stia attento: i tedeschi si
stanno ritirando e sono arrabbiatissimi. Ci sono pattuglie da
tutte le parti. Anche quando cessa il coprifuoco fermano la gente,
chiedono i documenti". Io ribattei: "Ma io sono un ebreo
perseguitato e devo sfuggire ai tedeschi! Se mi prendono... lei
capisce!". "Appunto per questo, se lei � ebreo stia
attento". E pensare che io non sono ebreo, non sono neppure
ariano, sono ligure! La cosa migliore, pensai, se voglio arrivare
da Pieraccini, � quella di passare il Mugnone affidandomi a dei
ragazzi: sono i pi� svelti, sono quelli che la fanno in barba a
tutti. Trovai infatti due ragazzini, ai quali feci questa
proposta: "Sentite, devo andare di l� dal Mugnone per
raggiungere il centro di Firenze. Bisogna che riusciate a portarmi
vicino a via Cavour; poi mi lasciate l�. Se riuscite a portarmi
in via Cavour, io vi dar� dei soldi". Dicono: "La
venga, ci pensiamo noi. Guardi noi fingiamo di non essere con lei,
naturalmente. Noi andiamo avanti, giochiamo, fingiamo di
rincorrerci. Le faremo dei cenni, lei stia attento: se le faremo
qualche cenno, vuol dire che c'� pericolo. Se le facciamo segno
di andare avanti, cos�, vuol dire che il pericolo non c'�".
Mi affidai a quei due ragazzi. Fu un'idea felice (Sapete, ne ho
avute di idee felici; una ad esempio fu quella di sposare la
partigiana che divent� poi mia moglie). I ragazzi ogni tanto, mi
facevano qualche cenno. Si divertivano un mondo a fare la loro
parte. Io li lasciavo giocare, anche perch� tutto si svolgeva in
modo pi� sereno e tranquillo. Traversammo il Mugnone e mi
guidarono verso il mio porto, in via Cavour. Si sentivano
importanti. L'avevano capito, questi ragazzi, che gli avevo
affidato la mia vita. Li avevo avvertiti: "Guardate che io
non voglio essere fermato dai tedeschi!". Ricordo che ad un
certo punto mi segnalarono: "I tedeschi!". Difatti c'era
una pattuglia e i soldati erano molto arrabbiati. I ragazzi mi
ordinarono: "La si nasconda!". Io mi nascosi e poi di
nuovo si ripart�, a un cenno di via libera. Arrivai finalmente in
via Cavour. "Bene, sono arrivato - dissi - vi ringrazio di
cuore. Prendete quello che vi ho promesso". Anzi, detti loro
qualcosa di pi�: "Mi avete aiutato e ve ne sono grato"
- dissi. "Ma no, ci basta quello che ci ha dato..." si
schermirono quei bravi figlioli.
Ero un'altra volta solo con la mia valigetta. Mi avventurai in via
Cavour; conoscevo il numero della casa dove stava Pieraccini, era
l'8. In questo incontro ho veramente conosciuto il grande affetto
che circondava Gaetano, il vecchio Pieraccini. Salii le scale e
suonai alla sua porta. Nessuna risposta. Suonai di nuovo: nessuno.
Si apre una porta vicina. Una signora mi chiede: "Signore,
chi cerca?". "Cerco il professor Pieraccini".
"Non c'�" mi risponde con il volto duro. Era una bella
signora, ma aveva il volto duro. Rimasi di stucco; sentivo che
diceva una bugia. "Signora, guardi che io so che il
professore � in casa, io sono un amico fraterno di Gaetano
Pieraccini. Mi creda, mi trovo in una situazione molto difficile e
pericolosa, la mia vita dipende dall'incontro con Pieraccini, lei
si assume una grossa responsabilit�. Dica a Gaetano Pieraccini
che Sandro Pertini lo cerca. Quando lui sapr� che io l'ho cercato
e che lei mi ha impedito di incontrarlo... quando mi sar�
accaduto quello che mi dovr� accadere, sar� il primo a
rimproverarla. Lei ne avr� rimorso, signora!". "Non
conosco nessuno che si chiama Pieraccini" replic�.
"Non � vero signora. Lei fa bene a proteggerlo, ma io sono
in pericolo. Lei mette a repentaglio la vita di un uomo". Non
fingevo: ero in una situazione cos� difficile che non potevo
essere che spontaneo. Sentivo, per�, di aver fatto centro, mi
rendevo conto di aver colpito la sensibilit� di quella donna.
Cominciai a scendere le scale; per�, scendendo, sentivo dentro di
me che le mie parole avevano trovato risonanza nell'animo della
signora. L'avevo avvertito, ci sono antenne che fanno captare
queste sensazioni. Scesi le scale lentamente e sentii parlottare
dietro di me. Evidentemente la signora stava consultandosi con
qualcuno. Si vede che avevano preso contatto con Pieraccini in
qualche modo, da buoni vicini di casa. Stavo per scendere la
seconda rampa di scale, ma sempre adagio: "Sandro - dicevo
dentro di me - guarda che tu l'hai commossa, non te ne
andare!". Andarmene significava, com'� facilmente
immaginabile, andare a finire in una rete pericolosa.
"Signore! torni indietro, che le devo parlare". A
ripensare a quelle parole mi commuovo ancora. Torno su di corsa.
Mi dice: "Lei capisce?". "Ho capito, signora. Ho
capito che Gaetano Pieraccini � in mano di amici sicuri. Io la
ringrazio, ha fatto molto bene". "Si, Gaetano Pieraccini
� in casa - mi disse - gli abbiamo detto il suo nome e
l'aspetta". "Grazie, signora". Gaetano Pieraccini
era ricercato: tutti gli inquilini del palazzo lo sapevano, e
tutti erano schierati in sua difesa. C'era dietro di lui un
passato di onest�, di rettitudine, di socialismo e di
antifascismo, una professione esercitata con nobilt�. A Firenze,
ancora oggi la gente se ne ricorda. Si apre la porta, chiamano il
professore. "Oh Pertini!..." Ci si abbraccia. Mi
appartai con Pieraccini. Lo misi al corrente del mio viaggio
avventuroso e gli dissi che dovevo raggiungere Roma. Mi avvert�:
"Bada che qui i tedeschi si stanno ritirando, la situazione
� difficile, mettono il coprifuoco alle ore pi� impensate, stai
attento!". Gli chiesi di mettermi in contatto con qualcuno.
Fu cos� che mi indic� il nome di un caro compagno, Ricciotti
Bondi, che stava in via Spontini al numero 59. "Guardami -
disse Pieraccini - ti consiglio di andare subito da Bondi: il
coprifuoco non c'�, e poi appartieni a una categoria di persone
che non destano sospetto, sei vestito da persona cos�
decente!". "Non ce l'ho la faccia da delinquente,
Gaetano?". "No, ma stai attento! Qui sono le persone
oneste che vengono fatte fuori, non sono i delinquenti".
Andai da Ricciotti Bondi. Naturalmente lui sapeva chi ero. Io ero
stato a Firenze, i compagni sapevano molte cose della mia vita.
Tra l'altro ero venuto a Firenze da Roma l'8 settembre del '43 per
tenere una riunione. Quella volta, tra gli altri, c'erano Foscolo
Lombardi, Gino Bertoletti e, appunto, Ricciotti Bondi. L'avevo
conosciuto in quella circostanza. Quando arrivai a casa sua ci
abbracciammo. Lo informai sulla situazione, sulle mie peripezie, e
lui mi offr� la sua calda e fraterna ospitalit�. A sua volta mi
aggiorn�, come aveva fatto Pieraccini, sulle difficili condizioni
in cui versava Firenze. "Sandro - mi disse Bondi - qui si sta
preparando l'insurrezione". "Se c'� l'insurrezione -
replicai - io non vado a Roma; tra l'altro non so perch� Nenni mi
abbia mandato a chiamare. Gi� che si prepara l'insurrezione e i
tedeschi si stanno ritirando, devo rimanere con voi". Difatti
Bondi diffuse subito la notizia che c'era "Sandro" a
Firenze e i compagni cercarono subito di prendere contatto con me.
Mi consigliarono di trasferirmi dai Bertoletti, che stavano in via
Ghibellina al numero 109, presso una famiglia di amici, dalle
sorelle Rossi. C'era Gino, con la sua cara moglie Pina, e i figli
Mara e Bruno. Mara allora aveva 19 anni e Bruno 24. Erano tutti
tanto bravi.
La traversata di Firenze fu davvero romanzesca e present� allo
stesso tempo, come tutti i fatti difficili e avventurosi, come
quelli bellici e politici, anche dei lati umoristici. Mi ricordo
che Mara - coraggiosa quella ragazza! - venne una mattina con Pina
a prelevarmi nella casa dei Bondi, dove avevo avuto le riunioni
con i compagni. Tenere presente che i tedeschi avevano messo il
coprifuoco per gli uomini: durante il giorno non si potevano
vedere gli uomini in giro; solo le donne potevano circolare per
andare a prendere l'acqua. C'erano tante pattuglie di tedeschi,
incattiviti, naturalmente di stavano ritirando e sentivano che la
sconfitta stava diventando definitiva per loro. Roma l'avevano
abbandonata. Avevano abbandonato tutto, stavano per abbandonare
Firenze, e potete immaginare il loro stato d'animo. La traversata,
ripeto, fu avventurosa. Mara mi precedeva; avevamo stabilito che
se si fosse passata una mano sui capelli per aggiustarseli, voleva
dire che dovevo nascondermi perch� c'erano le pattuglie. Ad un
certo punto, le mi fece un cenno molto nervoso: non era solo una
pattuglia, c'era un pericolo pi� grave. Bruno, con altri due
coraggiosi partigiani, Renzo Nicolai e Mario Colzi, mi seguivano a
debita distanza, pronti ad intervenire. Mi infilo in un negozio
aperto, dove c'erano delle donne. Fu uno scompiglio. Una donna mi
aggred�: "Ma lei non sa che gli uomini non possono uscire?
Signore, lei mette in pericolo anche noi!". "Signora -
replicai - io devo raggiungere immediatamente un dottore perch�
mia moglie � moribonda!...". Non ero sposato, allora.
"C'� mia moglie che � moribonda..." insistei. E lei mi
disse: "Povero signore!". "Che cosa devo fare? -
continuai - Devo lasciare morire mia moglie? Ci sono io solo, non
ho altri, vado in cerca di un medico...". Il titolare del
negozio voleva mettermi fuori, per lui non c'era moglie che
tenesse! Ma le donne dicono: "Lei tiri gi� la saracinesca,
non lo lasci uscire!". Mentre il negoziante chiude la
saracinesca, si sente passare il pattuglione, i tedeschi. Quando i
passi si allontanano, le donne alzano la saracinesca, danno
un'occhiata e dicono: "Sono andati via. Stia attento, lei
corre un serio pericolo ad attraversare tutta Firenze!".
Prima avevamo attraversato piazza della Stazione. Era stato un
momento pericolosissimo perch�, mentre traversavamo la piazza
proprio dalla stazione era uscito un folto gruppo di tedeschi.
Probabilmente arrivavano da qualche parte e, per mia fortuna, non
erano in servizio di pattuglia, non sapevano quello che accadeva a
Firenze. Grazie a questa coraggiosa Mara che faceva cenno di far
presto, affrettai il passo, e di portone in portone, raggiungemmo
in via Nazionale e svoltammo in via Faenza. A un certo punto alla
Mara venne un'idea felicissima: "Senti - dice - andiamo, ti
fai fasciare il braccio, cos� sembri un ferito". Ci
fermammo, infatti, in casa di un antifascista, Guido Valler, che
abitava in Borgo San Lorenzo al numero 13. Ne uscii fasciato e
colo braccio al collo. Mara, tranquilla, si mise al mio fianco.
Quando incontravamo una pattuglia, io facevo un viso sofferente da
far piet� anche ai sassi. Mara che era bravissima e
coraggiosissima, mi sorreggeva. Quando passavano i tedeschi mi
diceva: "Coraggio...! Coraggio!". Che bei giorni!
Finalmente dopo aver percorso via dei Gori, via dei Pucci, via
Bufalini e via Sant'Egidio, raggiunsi dopo otto ore di peripezie,
via Ghibellina, e fui accolto affettuosamente dai Bertoletti. L�
sostai: naturalmente quello era il mio punto d'appoggio, ma io,
ogni tanto, con l'aiuto di Mara, Bruno e Gino, prendevo contatto
con il Comitato di Liberazione.
I Bertoletti mi prendevano affettuosamente in giro perch�,
nonostante il momento drammatico, mi preoccupavo di certi
particolari. Dormivo su materasso per terra, per� tutte le
mattine mettevo il pigiama ben piegato sul letto. Loro avevano
notato questa mia mania e mi dicevano: "Ma come, tu, Sandro,
anche in mezzo ai pericoli, s�guiti a pensare a queste
cose?". Che volete, avevo di queste raffinatezze anche in
quelle circostanze! Ricordo per�, con emozione, un episodio di
quel soggiorno in casa Bertoletti, me lo ricordo come se fosse
accaduto adesso. Un mattino, era il 4 agosto, sentimmo un boato
prolungato. Si affacciano alle finestre molte donne di via
Ghibellina e gridano: "Hanno fatto saltare il ponte a Santa
Trinita!". Amavano pi� il ponte Santa Trinita del ponte
Vecchio. Queste donne si chiamavano dai balconi l'una con l'altra:
"Hai sentito? Hanno fatto saltare il ponte a Santa Trinita!...".
Piangevano, gridavano esasperate.
L'11 agosto, al mattino, Gino mi disse: "Sai, i tedeschi si
stanno ritirando". Proprio in quel momento sentimmo suonare
la Martinella e il campanone del vicino Bargello. Il popolo, i
residenti, scendevano per le strade e per le piazze. Allora io
vado subito in via San Gallo al n. 12 dove c'era la sede del
Partito socialista. In via San Gallo c'era Foscolo Lombardi, c'era
Bertoletti, c'erano tutti. "Ecco i socialisti - dissi subito
- sempre gli ultimi! Firenze � gi� tutta tappezzata di
manifesti. Ci sono quelli del Partito d'Azione, del Partito
comunista, ma manca il manifesto del Partito socialista! E' mai
possibile che noi dobbiamo rimanere sempre indietro? Non c'� una
tipografia? Cercatela!". Tiro gi� io il manifesto. Un
manifesto non retorico, scritto per� col cuore, da uomo che aveva
fatto la galera, che aveva partecipato alla guerra partigiana. Vi
misi tutto il vigore e la passione del mio animo. Andai con i
compagni per affiggere questi manifesti. Fuori mi dicono:
"Ma, Sandro, non s'� neanche un manifesto! IL nostro � il
primo". "Ma � naturale che sia il primo, non ci sono
altri manifesti". "Ma tu avevi detto...". "L'ho
detto apposta per farvi muovere - replicai - altrimenti non vi
sareste mossi! Il primo manifesto doveva essere il nostro". E
difatti cos� fu. Poi si stabil� di stampare subito
l'"Avanti!" e andammo in una tipografia di fortuna, in
via San Gallo. Non c'era corrente elettrica. Il tipografo, un
compagno, mi guarda sgomento e mi fa: "Come facciamo adesso,
senza corrente?". "Ho un'idea - dico - c'� un autocarro
lasciato dai tedeschi, qui fuori, c'� la benzina. Leghiamo una
puleggia al volano del motore dell'autocarro, colleghiamo il
volano alla macchina tipografica, accendiamo il motore e cos� la
rotativa si mette in moto!". "E' naturale" fa il
tipografo. "E allora siamo a posto - dico io - E' chiaro che
non andr� alla velocit� con cui andrebbe se ci fosse la
corrente, ma si riesce lo stesso a stampare il giornale". Una
cosa indimenticabile: l'autista accende il motore (la marcia
naturalmente in folle), accelera a tutta velocit�: vuhm, vuhm! Le
macchine cominciano a stampare. L'"Avanti!" usciva!
Ecco, mi pareva di essere una madre che � l� che attende che la
creatura esca dal ventre della figliola e ne gioisce.
Sull'"Avanti!" c'era il mio articolo di fondo, molto
vigoroso. Usciamo per la strada per organizzare la diffusione. Si
combatteva a Firenze. C'erano delle sacche di resistenza fascista:
molti franchi tiratori sparavano a cittadini inermi. Gli Alleati
erano arrivati al di l� dell'Arno, erano a Palazzo Pitti. Io
dovevo incontrarmi con loro per poter raggiungere Roma. Presi
contatto con il tenente Frank, rappresentante degli Alleati, il
quale mi disse: "Entreremo a Firenze, quando avrete ripulito
la citt� da tutti i franchi tiratori". E quando questo
accadde, puntualmente entrarono a Firenze. Frank mi accompagn� a
Roma. Di questi giorni porto con me, costantemente, l'immagine
della nostra diffusione dell'"Avanti!". In piazza San
Marco mi ferma un signore, avr� avuto 70-75 anni; senza dire una
parola stese la mano a prendere il foglio; prese il foglio come un
credente pu� prendere una immagine sacra. E la baci�. Baci�
l'"Avanti!" e si mise a piangere. un ricordo che mi
commuove ancora.
S. PERTINI
Quei giorni della Liberazione a Firenze
in "Il socialismo a Firenze e in provincia 1871-1961
a cura di S. Caretti e M. Degl'Innocenti
Pisa, Nistri-Lischi 1987
pp. 145-148

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