L�ascesa del socialismo
Maurizio
Degl�Innocenti
L�ascesa del socialismo nel corso del XIX fu un
fenomeno europeo, destinato a irradiarsi al di fuori dei confini
originari pur con modalit� diverse, e talvolta anche configgenti con
il nucleo identitario originario, fino a improntare la storia
dell�intero secolo XX. La consistenza del fenomeno, inteso come
patrimonio culturale e movimento organizzato, fu tale da sfidare la
potenza degli Stati e perfino da porsi in concorrenza con la
millenaria Chiesa. Per comprenderne dimensioni e durata occorre
considerare che esso fu figlio dell�industrializzazione e del
progresso tecnico, in un periodo nel quale quella si presentava come
il futuro, la modernit� avanzante e per certi versi irresistibile,
tale da travalicare gi� la culla europea, per espandersi oltre
Oceano negli Stati Uniti o in Giappone. Insomma, il socialismo,
prima ancora di esserne l�avversario, era il figlio del capitalismo,
che reclamava libera circolazione di merci e uomini, e che eleggeva
a classe dirigente la borghesia, inizialmente in cooptazione, come
in Italia, con la propriet� terriera, se e quando questa ne facesse
propri i valori e le procedure nella gestione del potere.
Nell�espressione pi� matura ed evocativa il capitalismo si esprimeva
nella fabbrica, o, per meglio dire, nel sistema di fabbrica e nella
gestione delle grandi infrastrutture, soprattutto ferroviarie,
determinando la formazione di un nuovo ceto di lavoratori, operai
semiqualificati ma soprattutto comuni, che pur essendo minoranza
svolgevano un ruolo di aggregazione fondamentale, con un�influenza
crescente anche nei confronti delle figure impegnate nelle
tradizionali attivit� artigianali, nei servizi e perfino nelle
professioni. L�affermazione di tale soggetto poneva bisogni e sfide
nuovi, e con essi l�esigenza di adottare procedure pi� articolate
nella gestione delle risorse. In una prima fase la classe dirigente
vi vide una minaccia e assunse atteggiamenti ora ostili, ora di mal
sopportata tolleranza, ma ben presto comprese che la strutturazione
delle domande veicolate dal nuovo soggetto era necessaria, e quindi
utile allo sviluppo ordinato della societ�. Subentr� quindi una
seconda fase nella quale il confronto, lo scontro e il compromesso
furono considerati e praticati non pi� come eccezioni, ma in via
ordinaria, il che, a ben vedere, sollevava problemi di compatibilit�
generale, con esiti diversi.
A ben vedere, il partito e il sindacato �e
specialmente quello generale e confederale- furono la risposta al
nuovo tipo di conflittualit� sociale emergente a partire dagli
ultimi decenni dell�800, la quale reclamava modalit� pi� complesse e
aperte, pi� organizzate: dalla pratica dello sciopero, alla
disciplina dell�orario di lavoro con l�evocazione delle �tre ore�
(di lavoro, di riposo e di tempo libero) implicita nella
mobilitazione collettiva per la festa del 1 maggio, al controllo
dell�allocazione della manodopera con l�ufficio di collocamento,
alla pi� generale definizione del contenzioso fino alla pratica
contrattuale collettiva e alla magistratura arbitrale. Era la stessa
societ� di massa, che avanzava in modo impetuoso, a farsi complessa,
a articolarsi in organizzazioni di interessi, a reclamare lo
sviluppo di istituti pi� rappresentativi, a sollecitare il ruolo
attivo degli enti territoriali, a affiancare alle istituzioni
pubbliche organi consultivi, a sviluppare apparati simbolici e
rituali. Il Partito dei lavoratori e l�organizzazione corporativa
dei lavoratori, cio� il sindacato, ne furono tra le espressioni pi�
significative, e da allora nessuna societ� avanzata avrebbe potuto
farne a meno. Parafrasando l�immagine del �decollo� per connotare la
fase iniziale dell�industrializzazione, si potrebbe dire che il
socialismo veicol� il decollo del moderno sistema politico fondato
sui partiti di massa, nazionali e territoriali. Il
costituzionalismo, grande conquista lasciata in eredit� dall�800 si
connot� in tal senso, e nuovi diritti vennero emergendo, a
cominciare da quello del lavoro, introducendo problematiche
avvertite sempre pi� urgenti, dalle tutele, a cominciare dalle
categorie pi� deboli come i fanciulli e le donne, alle assistenze e
previdenze. Punti pi� critici erano quelli delle assicurazioni
contro gli infortuni del lavoro e la concessione delle pensioni, ma
la gamma degli interventi era vasta e destinata a incrementarsi. Lo
Welfare State faceva il suo ingresso.
Il lavoro appariva ora una fonte di riscatto morale e
economico fattore di una riforma intellettuale e civile della
societ� intera. Il Partito, che da esso traeva ispirazione e che con
esso cercava collegamenti organici, si faceva portatore di identit�
collettive, e, al centro di un universo associativo che tendeva a
porsi come microcosmo, esprimeva conforto e sicurezza. Nel far ci�
si caricava di un bagaglio utopico, trovando per questa via canali
efficaci lungo i quali trasmettere messaggi pi� politicamente
orientati o rivendicazioni di immediato impatto. L�evoluzione della
societ�, dove la specializzazione si accompagnava ad impensabili
sviluppi della scienza e della tecnica, richiedeva razionalit� nelle
scelte e nei comportamenti, individuali e collettivi, ma le
dimensioni dell�agire collettivo reclamavano suggestioni e
evocazioni. In tempi di razionalit�, anche l�irrazionale trovava la
sua rivincita.
Il partito dei lavoratori, nella sua versione
socialdemocratica, era speculare allo Stato nazionale territoriale,
prodotto della modernizzazione della politica, che l�800 lasci� in
eredit� al secolo successivo, che ne decret� il trionfo su scala
planetaria. Quel tipo di partito, infatti, era nazionale e
territoriale, e parlamentare e tendenzialmente di massa. Era, di
fatto, espressione della nazionalizzazione delle masse, nonostante
che individuasse nell�associazionismo internazionale, e di classe,
un elemento identitario cos� forte da improntare a ci� in
progressione le diverse fasi della sua storia (I, II, III e perfino
IV Internazionale). Non a caso, dalla plebe, dai ceti di rango
inferiori, dagli emarginati, dalla gente comune, esso and�
rivolgendosi al ceto lavoratore e quindi alla classe operaia,
portando in tale processo il valore aggiunto della coscienza e
dell�organizzazione, intesa quest�ultima come completamento della
personalit� del singolo. E poi dietro la militanza era il supporto
dell�azione volontaria: il mettersi insieme per emanciparsi,
l�auto-aiuto, il riconoscersi come �compagni� di una causa, che si
faceva sempre pi� comune fino a diventare universale. Il simbolo pi�
universalmente riconosciuto fu quello delle mani intrecciate, ancor
pi� di quello recante la falce e il martello nella supposta unione
dei lavoratori dei campi e della fabbrica. Era non solo la promessa
di un futuro migliore, ma anche una dimensione comunitaria percepita
nel vivo, e quindi remunerativa. Lo scatto del premio di fedelt�,
con cos� forti tratti fideistici, non sarebbe altrimenti
comprensibile.
La nazionalizzazione delle masse e la maggiore
complessit� della societ� comportavano l�allargamento della
cittadinanza politica, con lo sviluppo degli istituti
rappresentativi, del ruolo attivo degli enti territoriali e
l�affermazione degli organi consultivi dello Stato. Lo sviluppo
dell�istruzione, diventata obbligatoria, era ora tra gli obiettivi
centrali dello Stato nazionale. La socialdemocrazia si defin�
intorno ad una tipologia di partito educatore, che perseguiva la
propaganda di massa, anche ma non solo a fini elettorali, perch�
andava dotandosi di sedi territoriali deputate a svolgere
un�attivit� costante. Tale partito, insomma, era uno dei principali
fattori della mobilitazione politica diffusa, rivestendo una
duplice, ma sinergica, funzione negli anni della II Internazionale
(1889): politica e democratica, sindacale e corporativa.
Costituito da apparati e sezioni territoriali,
attrezzandosi per il cimento elettorale ai cui esiti impar� presto a
misurare successi e insuccessi, si realizz� nella direzione
dell�espansione della cittadinanza attiva, politica e sociale,
educando il singolo e il gruppo alla gestione della cosa pubblica, e
soprattutto aggregando e mediando i nuovi interessi o bisogni
sociali. Sotto questo aspetto la sua presenza pu� valutarsi
positivamente nel senso della stabilizzazione del sistema o, almeno,
dello sviluppo della societ�, nonostante che formalmente si ponesse
in alternativa al potere dominante e si facesse financo tramite di
una visione �altra� della societ� stessa, fondata sull�etica del
lavoro, rispetto a quella vigente, che si voleva disordinata,
squilibrata e iniqua. La sua stessa evoluzione rifletteva tale
attitudine di fondo, delineando dovunque il passaggio da movimento a
istituzione, da forma esterna e extraparlamentare a funzione
centrale del sistema politico rappresentativo di massa, da organismo
a fondamento classista a partito dello sviluppo sociale.
Se questa pu� considerarsi l�ascesa del socialismo
tra �800 e �900, c�� da chiedersi ora quale impatto abbia avuto in
Italia, nell�ambito dello sviluppo dello Stato unitario, di cui si
intende qui ricordarne la ricorrenza del 150� anniversario. La sua
diffusione in Italia nei decenni all�indomani dell�Unit� ne
attestava la connessione con il respiro profondo della storia,
forse senza ricoprirvi un ruolo protagonistico, ma certamente con un
proprio profilo che sostanzialmente rifletteva le caratteristiche
del paese sulla scena internazionale. Correnti di pensiero, gruppi,
uomini in sintonia con il socialismo d�Oltralpe, santsimoniano e
proudhoniano, bakuniniano e marxista intrecciarono le proprie
vicende con il processo risorgimentale, contribuendo a conferirgli
un carattere democratico-popolare. La prima generazione socialista o
pseudo socialista si leg� agli esiti del processo risorgimentale, in
quanto intercettava le domande di coloro che avrebbero voluto che la
rivoluzione nazionale si traducesse in soluzioni
politico-istituzionali pi� radicali, dal suffragio universale alla
forma repubblicana, fino, ma in frange molto minoritarie, alla
nazione armata o all�ipotesi federalista; e che in ogni caso fosse
occasione di profondi mutamenti sociali a vantaggio di quei ceti
popolari urbani e del mondo del lavoro che l�egemonia borghese, o
aristocratico-borghese nell�ossequio al costituzionalismo sabaudo
sembrava trascurare. Non bisogna trascurare infatti che le
�rivoluzioni nazionali� dell�800 si accompagnavano ad un�idea, che
era anche una aspettativa, di libert�, la quale riguardava i popoli,
ma anche gli individui; e che tale tensione emancipatrice poteva
tradursi facilmente in una sia pure generica occasione di riscatto
sociale sulla spinta dell�azione del volontariato urbano e
giovanile, quando dall�ambito strettamente istituzionale e politico
travalicava nell�ambito delle relazioni interpersonali e della
gestione delle risorse.
Accanto alle correnti mazziniane, che larga influenza
esercitarono nelle societ� operaie, prevalentemente di mutuo
soccorso, che costituirono una prima ossatura del movimento,
passando da 443 sodalizi a 1447 nel 1873, a 4896 nel 1885, a 6722
nel 1896, si palesarono gruppi massonici e libero pensatori diretti
da personalit� come Luigi Stefanoni e Luigi Castellazzo,
cristiano-sociali, internazionalisti e libertari,
democratico-sociali, operaisti. Lo stesso Garibaldi, pronunciatosi a
favore della Comune nel 1871 a differenza di Mazzini, espresse la
sua simpatia per la nuova causa dichiarando che �il socialismo � il
sol dell�avvenire�. Fu a partire dagli anni �80 che si andarono
costituendo le istituzioni fondamentali di quello che sarebbe
diventato l�universo socialista: la sinistra, non quella liberale e
costituzionale al Governo dal 1876 con Depretis, Crispi e poi
Giolitti, ma piuttosto quella cresciuta nella societ� con modalit�
estranee al notabilato e alla propriet� autolegittimante, o
addirittura alternative alla prima, si and� progressivamente
strutturando. Fu una vera e propria svolta, favorita
dall�allargamento del mercato e dall�interazione internazionale di
beni, uomini e esperienze, dal decollo industriale, dal bisogno di
maggiori tutele sociali e del lavoro, dall�allargamento del
suffragio ancorch� a quello universale maschile si pervenisse solo
con la legge del 1912. Quella svolta e gli esiti successivi
lasciarono di fatto un eredit� destinata a durare almeno fino alla
fine del XXI secolo, e forse oltre. Con tutti i limiti ammissibili,
l�Italia unita diventava pi� moderna ed europea, e si faceva pi�
nazione.
Della strutturazione della sinistra sopra citata
basteranno qui pochi dati. Nel 1902 vantava gi� l�adesione di 2823
cooperative, con mezzo milione di soci, che nel 1914 raggiunsero il
traguardo del milione. Come nel caso delle societ� di mutuo
soccorso, dove i socialisti rimasero sempre componente minoritaria
almeno fino agli anni giolittiani, anche nel movimento cooperativo
l�iniziativa fu inizialmente dei democratici, radicali e
repubblicani, e dei liberali (si pensi a Luigi Luzzatti), ma poi,
resisi autonomi precocemente i sodalizi del credito popolare e
cooperativo e separatisi i cattolici, l�influenza socialista si
rafforz� progressivamente, a partire dal settore di consumo e di
lavoro e produzione. Fu emblematica la nomina a segretario nel 1912
del socialista Antonio Vergnanini, segretario della Camera del
lavoro di Reggio Emilia, in successione al radicale Antonio Maffi.
Nel 1902 le societ� cooperative censite erano 2823, con mezzo
milione di soci. Nel 1914 raggiunsero il milione: un numero gi�
molto ingente nell�Italia liberale, ma che nell�immediato dopoguerra
quasi raddoppi�. Si disse che alla fine del 1920 il capitale
azionario delle societ� aderenti alla Lega si aggirava intorno ai
600 milioni di lire, con un movimento di affari sul miliardo e
mezzo. Accanto al sodalizio di mutuo soccorso o cooperativo crebbe
anche il circolo orientato all�impiego del tempo libero: la casa del
popolo di Massenzatico, la prima di una rete diffusa, apparve nel
1893.
Alla fine del secolo, ma soprattutto nel 1901-2, la
sindacalizzazione fece passi significativi non solo in direzione del
lavoro dipendente in area urbana, nelle arti e mestieri, ma anche
nei servizi, dai maestri e insegnanti ai postelegrafonici, per non
parlare dei ferrovieri che dovunque erano precocemente interessati
al fenomeno per via del forte senso di appartenenza corporativa.
Perfino l�impiegato, si disse, �si faceva popolo�, dividendone la
vita e le aspirazioni. Era questo un fenomeno europeo, come si � gi�
detto, ma in Italia assunse un connotato particolare per la
mobilitazione delle campagne, altrove sconosciuta per dimensioni e
rilevanza politica. Agli inizi del secolo circa duecentomila
lavoratori dei campi entrarono in sciopero per migliorare le
condizioni salariali e per diminuire la giornata di lavoro: fu la
�resistenza�, la resistenza al datore di lavoro. L�unit� di base era
rappresentata dalla lega, che confluiva in organismi di secondo
grado e infine in una Federazione nazionale dei lavoratori della
terra, nata a Bologna nel 1901 con una forte vocazione classista.
L�iniziale area di diffusione era quella padana e emiliana, e la
figura protagonista prevalente era quella del bracciante, che dal
1901 al 1911 rappresent� il 70% degli organizzati e per l�87%
l�attore delle agitazioni agrarie. Pi� lenta e controversa fu la
sindacalizzazione dei mezzadri, degli obbligati e dei piccoli
proprietari, che in ogni caso rimasero prevalentemente
nell�influenza repubblicana o cattolica. Un ulteriore fattore di
straordinaria novit� che non pu� passare sotto silenzio fu il fatto
che per poco meno di venti anni a dirigere la Federterra fu una
donna, Argentina Altobelli, segno evidente che la valenza
emancipatrice riconducibile alla nuova idealit� socialista fondata
sul riscatto e sull�etica del lavoro si innestava su un processo,
quello dell�emancipazione della donna, che, se avrebbe connotato la
storia del �900, allora, agli inizi del secolo, in un universo
sostanzialmente maschilista, era appena agli albori. Ne era traccia
evidente la stessa testata, �La Difesa delle lavoratrici�, del
giornale fondato da Anna Kuliscioff.
L�insediamento sindacale port� alla creazione delle
Camere del lavoro, organismi territoriali che riunivano gli
organismi di base di tutte le categorie; e delle Federazioni di
mestiere, strutture verticali tendenzialmente su base nazionale, con
fondamento professionale. Pi� lento fu il passaggio dal sindacato di
mestiere a quello d�industria. Nel 1906 la maggioranza di tali
organismi dettero vita alla Confederazione generale del lavoro (CGdL),
con una chiara vocazione socialista riformista, favorevole alla
legislazione sociale e alla tutela legale del lavoro, in una
proiezione parlamentare che implicava una interazione con il partito
socialista, e alla presenza del soggetto sindacale nelle
istituzioni, con la partecipazione agli organi consultivi dello
Stato, a cominciare dal Consiglio superiore del lavoro. La nascita
della CGdL implic� la costituzione della cosiddetta Triplice del
lavoro, insieme alla Lega nazionale delle cooperative e della
Federazione nazionale delle societ� di mutuo soccorso, da allora
sempre pi� legata alla precedente con cui condivideva l�organo
ufficiale, �La Cooperazione nazionale�. La denominazione stessa
evocava, in contrapposizione, quell�alleanza stipulata nel gioco
diplomatico-dinastico, ultima eredit� dell�ancien regime, tra gli
Imperi dell�Europa centrale e l�Italia. La Triplice �proletaria�,
invece, ribadiva la centralit� del lavoro per una politica di
sviluppo del paese che ne utilizzasse le risorse non a fini di
potenza e di espansionismo coloniale, bens� per l�ammodernamento
infrastrutturale, le opere di bonifica e la messa in coltura delle
terre incolte, il potenziamento della domanda interna basata sui
consumi. In un mercato del lavoro fortemente squilibrato, e
interessato a significativi flussi migratori, con vaste aree di
sottosviluppo e di precariato, soprattutto femminile e giovanile, e
gravato da basse retribuzioni, l�occupazione era un obiettivo
centrale. La �grande politica del lavoro� auspicata nel 1912-4, in
alternativa al colonialismo tripolino e alla corsa agli armamenti
(al punto da condizionare il successivo orientamento neutralista dei
socialisti italiani), non trov� grande ascolto in tempi nei quali il
rullo dei tamburi di guerra diventava sempre pi� assordante; n�
migliore esito conobbe nell�immediato dopoguerra il Rifare
l�Italia di Filippo Turati, che di quell�indirizzo fu
l�elaborazione pi� matura, destinato comunque a restare tra le
testimonianze pi� alte dell�intera vita politica e parlamentare
dell�Italia unita.
Negli anni �80 si costituirono le prime
organizzazioni partitiche. Nel 1881 fu la volta della costituzione
del Partito socialista rivoluzionario di Romagna, subito dopo la
svolta legalitaria impressa da Andrea Costa con la lettera agli
amici di Romagna con cui esplicitava il passaggio dal
primointernazionalismo libertario ad un socialismo che voleva
�mescolarsi con il popolo� e per esso �conquistare i comuni�.
Nonostante le proclamazioni rivoluzionarie, di fatto collocava tale
prospettiva in un futuro remoto. Il motto era: legalitari oggi,
rivoluzionari domani. Ma sul piano politico l�oggi diventava
preminente. Alleato con i repubblicani, nel 1882 il Partito riusc� a
fare eleggere nel collegio di Ravenna lo stesso Costa: il socialismo
entrava cos� in Parlamento. Se il riferimento sociale del Partito di
Costa era popolare, pi� che proletario, a Milano prese vita il
Partito operaio nel 1882, che perseguiva l�emancipazione del lavoro
manuale in via autonoma, vale a dire escludendo la presenza
borghese, e dunque in polemica con il Consolato operaio diretto da
radicali. Entrambe erano formazioni poco pi� che regionali, ma
comunque destinate a porre le premesse per la costituzione del
Partito dei lavoratori italiani, poi Partito socialista italiano, a
Genova nel 1892, dove fu soggetto attivo la Lega socialista milanese
guidata da Filippo Turati, che guardava con attenzione
all�esperienza della socialdemocrazia, uscita vittoriosa dal braccio
di ferro con Bismarck, e che aveva rilanciato il proprio ruolo di
guida nell�ambito della II Internazionale, dopo il congresso di
Erfurt del 1891. Non tanto o non solo la separazione dagli
anarchici, resa necessaria dall�adozione della via legale alla
conquista del potere, cio� con il consenso della maggioranza
attraverso il voto, quanto la creazione di un partito nazionale e
territoriale attraverso la rete delle sezioni e delle federazioni, a
cui era preposta una direzione e una segreteria generali,
rappresent� davvero un salto di qualit� che inizialmente fu
percepito da pochi, ma che ben presto si rivel� uno straordinario
fattore di mobilitazione politica. La volgarizzazione del marxismo
negli anni �90, specialmente attraverso �La Critica sociale�,
stampata a Milano, capitale economica (e del proletariato), sotto la
direzione di Turati, consentiva di conciliare l�attesa della
conquista del potere attraverso il Partito e la lotta corporativa, o
di classe, affidata al sindacato.
Se si guarda alle dimensioni del movimento sindacale
e delle societ� mutue o cooperative, si dovrebbe rilevare l�esiguit�
del corpo sociale del Partito, che prima della guerra mondiale non
super� mai i cinquantamila iscritti. Ma la funzione politica del
Partito, che port� nel 1895 i primi deputati in Parlamento e and�
progressivamente insediandosi nelle amministrazioni comunali, svolse
un ruolo di orientamento, coordinamento e impulso decisivi. Come fu
teorizzato al congresso di Stuttgart dell�Internazionale socialista
del 1907, anche in Italia sembr� prendere piede gi� nella societ�
borghese il classico edificio socialista fondato su tre pilastri:
politico, sindacale e associativo o cooperativo; ma di quei pilastri
il decisivo era pur sempre ritenuto quello politico. A quest�ultimo,
infatti, erano riservate le funzioni essenziali della formazione del
militante e del quadro, la presenza in Parlamento in rappresentanza
delle esigenze comuni, la conquista degli enti territoriali, cio� la
direzione di fondo. E se per valutare la solidit� di un movimento
politico si adottano, insieme alla consistenza degli iscritti, anche
i parametri della continuit� organizzativa, la diffusione sul
territorio, la sinergia dei medesimi, la riconoscibilit�, il
consenso elettorale; allora, per quanto attiene al Partito
socialista, si deve convenire che esso ebbe vita secolare, si
aliment� di una riconoscibilit� trasmessa su scala generazionale,
cre� un patrimonio simbolico che s�innest�, con quello di altre
famiglie politiche, nel tessuto vivo dell�Italia repubblicana,
diventandone fattore identitario comune. Per restare al periodo qui
considerato, si valuti che in occasione delle elezioni del 1913
ottenne 900000 voti, pari al 17,7%, con 52 seggi, ma se ai voti dei
socialisti ufficiali si fossero aggiunti quelli degli indipendenti e
dei socialisti riformisti i voti sarebbero stati 1147000, pari al
22,9%. E� infine da segnalare che nelle citt� con oltre 100000
abitanti il voto socialista si attestava gi� al 37,6%. Nel 1914 il
successo fu confermato dalla conquista dell�amministrazione di
grandi citt�, come Milano e Bologna. Nelle prime elezioni del
dopoguerra, nel 1919, con il sistema proporzionale e lo scrutinio di
lista il voto socialista arriv� al 32,4% , con 156 seggi. Per non
appesantire eccessivamente il mio intervento, mi fermo qui.
In conclusione, riprendendo il concetto dell��ascesa�
presente nel titolo della relazione assegnatami, si deve
innanzitutto dedurre che rispetto all�Italia dell�Unit�, quella
degli inizi del �900 era profondamente cambiata, e la presenza
socialista vi aveva svolto un ruolo importante: la societ� era pi�
complessa e strutturata, le istituzioni pi� aperte alla
partecipazione delle rappresentanze popolari, il mondo del lavoro
aveva finalmente voce ed era pi� ascoltato, la cittadinanza politica
e sociale si andavano allargando. Il socialismo si insediava nei
collegi, nelle comunit� locali, nelle leghe dei lavoratori, e al
tempo stesso operava a ridosso dello Stato: di fatto, conciliava il
locale e il nazionale, il particolare e il generale. Se si
preferisce, trasferiva il locale a livello centrale, ma al tempo
stesso si faceva fattore di integrazione politica di masse alle
quali lo Stato liberale risultava indifferente, se non ostile. Al di
l� di qualsiasi valutazione, � certo che l�idea e il movimento
socialisti portavano con s� una voglia di auto emancipazione e di
riscatto, che dalle categorie pi� direttamente interessate si
espandeva all�intera societ�. Per molti era una speranza, per altri
motivo di preoccupazione.
Non si pu� nascondere tuttavia un aspetto non unico,
ma certo peculiare della storia complessiva della sinistra italiana:
il frazionismo, cio� la rissosit�. La sua vicenda fu costellata di
scissioni. Cosicch� pi� che di una sinistra, occorrerebbe parlare di
pi� sinistre. Il pluralismo accentuato pu� considerarsi virt� e
debolezza al tempo stesso, ma nel nostro caso il giudizio tende a
pendere sul secondo corno. Quello stesso �edificio� socialista, che
si presumeva in costruzione gi� in et� giolittiana, si present� nei
momenti cruciali della storia italiana assai instabile, poich� a
differenza di altri paesi europei a forte densit� socialdemocratica
si reggeva su pilastri che obbedivano a logiche e prospettive non
pienamente univoche. Talvolta, come negli anni drammatici del primo
dopoguerra, si rivelarono piuttosto divaricanti. Nel solco scavato
dalla partecipazione dell�Italia alla guerra e dal mito della
rivoluzione russa la direzione di marcia e il comune sentire furono
tutt�altro che univoci, facilitando l�opera distruttiva
dell�avversario. L�esperienza, pure fondante, del socialismo
riformista, gradualista e democratico, fu decisiva e rimase a lungo
largamente maggioritaria, e ad essa andavano ascritte le strutture a
cui abbiamo fatto sopra riferimento, ma fu contrastata aspramente
all�interno e all�esterno dal sindacalismo rivoluzionario ispirato
all�action directe francese, dall�esclusivismo classista, dal
massimalismo, dal comunismo. E perfino il movimento cattolico, forte
della presenza della Chiesa, si mostr� concorrente agguerrito. In
quanto cultura del fare, il socialismo riformista chiuse la sua
vicenda con l�avvento del fascismo. La continuit� si interruppe, e
dopo fu un�altra storia: dopo il crollo del fascismo, fu a lungo il
momento del socialismo di sinistra che conobbe una fortuna
difficilmente reperibile altrove, e soprattutto del Partito
comunista, nato nel gennaio 1921 da una scissione minoritaria per
inseguire l�inganno della rivoluzione, e che poi sarebbe diventato
il pi� forte partito comunista dell�Occidente. Ai margini del
sistema prese vita una sinistra extraparlamentare, nella quale non
mancarono tendenze eversive: anche di questo fenomeno sarebbe
difficile trovare analogie nel mondo occidentale per dimensioni e
durata. Ogni episodio era in s�, e sarebbe difficile vedervi il
senso di uno sviluppo coerente, e tuttavia nella radicalizzazione
ideologica e politica non pu� non cogliersi il segno di un malessere
profondo, destinato a palesarsi a pi� riprese.
Con l�esasperato frazionismo la polemica interna
divent� spesso prevalente, il che esprimeva un deficit di azione
politica. Cos� come l�attestava la vocazione all�ideologismo, troppo
spesso mascherato sotto la veste della lotta di idee, al quale il
gusto della retorica era sempre pronto a fornire l�utile supporto.
La complessa stratificazione della sinistra rifletteva gli squilibri
e le difformit� della societ� stessa, che arrivava allo sviluppo
capitalistico su una linea tortuosa, caratterizzata dal
frazionamento del tessuto produttivo. Improvvise accelerazioni della
mobilit� politica e sindacale, come nel 1901-2 e soprattutto nel
1919-20, ne testimoniavano la vitalit�, una vitalit� anche
straordinaria, ma di per s� non si traducevano, tutt�altro!, nella
sedimentazione di esperienze e nella preparazione di quadri
adeguati. Vitalit� e grandezza, ma anche limiti della sinistra:
fedele specchio dell�evoluzione della societ� italiana.
Maurizio Degl�Innocenti
Presidente Fondazione di studi storici �Filippo Turati�