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Notizie - 2003

Roma,
mercoled� 15 gennaio 2003
Sala del Cenacolo - Camera
dei Deputati
vicolo Valdina, 3A - ore 16,30
PRESENTAZIONE DEL VOLUME
F. TURATI, RIFARE L'ITALIA!
a cura di Carlo
G. Lacaita
Piero Lacaita editore
Sotto
l'Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica
Con il Patrocinio della Camera dei Deputati
Il programma del Convegno
P
r e s i e d e:
Giuliano VASSALLI - Presidente
emerito della Corte Costituzionale
P a r t e c i p a n o:
Gaetano ARFE' -
Universit� di Napoli
Simona COLARIZI -
Universit�
di Roma "La Sapienza"
Maurizio
DEGL'INNOCENTI -
Universit�
di Siena
Angelo VENTURA -
Universit�
di Padova
L'evento,
relativo ad uno dei momenti pi� alti della storia parlamentare e
politica dell'Italia unita, conclude le iniziative della Fondazione
per il 70� anniversario della morte di Filippo Turati.
Tra queste, si segnala la recente pubblicazione del volume

Filippo Turati e i corrispondenti italiani
vol. I - 1876-1892
a cura di Maurizio Punzo
Piero Lacaita Editore
2002
Altri scritti di Filippo Turati
pubblicati
dalla Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati":
M. Degl'Innocenti, Filippo Turati e la nobilt� della politica,
1995;
Filippo Turati e i corrispondenti stranieri, a cura di D. Rava,
1995;
Turati e i corrispondenti italiani nell'esilio, a cura di S. Fedele,
1998;
Lo Stato delinquente, a cura di M. Proto, 1999;
I carteggi Turati-Ghisleri 1876-1926, a cura di M. Punzo, 2000;
Bibliografia degli scritti 1881-1926, a cura di P. Furlan, 2002
IL
TESTO DEL MESSAGGIO DEL CAPO DELLO STATO
Il Convegno dedicato a Filippo
Turati ed ai suoi discorsi parlamentari ricorda uno degli esponenti
pi� significativi della cultura politica italiana. E' occasione per
riannodare con i fili della memoria il passato al presente.
L'idea di rinnovamento d'Italia fu espressa da Filippo Turati con
concretezza di proposte e costantemente accompagnata, anche negli
anni del primo conflitto mondiale, dalla consapevolezza del valore
di un'Europa unita nell'affratellamento degli animi e nella
comunanza degli interessi.
La forza dei suoi ideali di libert� e di giustizia, che sono a
fondamento dell'Europa di oggi, l'efficacia delle sue proposte,
frutto delle capacit� di dialogo e di confronto, fanno di Filippo
Turati uno dei grandi maestri della coscienza nazionale italiana e
del suo impegno civile un esempio per le generazioni future.
Giungano a lei, signor presidente, ed a tutti i partecipanti al
Convegno, gli auguri di buon lavoro.
Carlo Azeglio Ciampi
Hanno inviato messaggi di saluto in occasione dell'iniziativa:
il Presidente del Senato della
Repubblica, Marcello Pera,
il Presidente della Camera dei Deputati, Pier Ferdinando Casini
il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi
Hanno comunicato la propria adesione
all'iniziativa:
prof. Valerio Castronovo
prof. Furio Diaz
prof. Ennio Di Nolfo
prof. Fabio Grassi Orsini
prof. Emilio Papa
Il
testo del messaggio inviato dal prof. Gaetano Arf�
Ragioni
superiori alla mia buona volont� non mi consentono di essere
presente all'incontro di oggi e ne provo il rincrescimento di chi
manca una celebrazione di famiglia. Ho sentito per la prima volta il
nome di Filippo Turati nella mia remota infanzia quando mio padre,
visibilmente commosso, mi annunci� che era morto in Francia un uomo
grande e buono che aveva lottato per tutta la vita per aiutare i
poveri. Parecchi anni dopo mi mise tra le mani delle annate di
"Critica Sociale" religiosamente conservate nella sua
biblioteca e le scorsi con fievole impegno e con scarso interesse.
Mi appassion�, invece, per lucidit� di pensiero, per il vigore
dell'oratoria, per l'ironia, sempre pungente e mai malevola della
quale infiorava i suoi interventi, la lettura dei suoi discorsi,
apparsi a cura di Rodolfo Mondolfo, di cui io stesso, per ordine di
Giuseppe Faravelli e in collaborazione con Mondolfo curai una
seconda frettolosa edizione pubblicata da Morano in occasione
dell'unificazione socialista del 1966 e una terza, pi� accurata,
per l'editore Lacaita promossa dalla Fondazione Turati.
Fu per fedelt� postuma alla sua persona che nel 1947 seguii Saragat
nella sua scissione e lo lasciai dopo un anno perch� mi parve che,
al di l� della buona volont� e della sincerit� degli intendimenti
dei protagonisti della operazione, Turati in quel partito non fosse
di casa. Che nella mia decisione ci fosse una carica di giovanile e
intollerante inquietudine � probabilmente vero, ma � anche vero
che il fedele pi� fervente di Filippo Turati, che con guido
Mondolfo aveva ridato vita alla "Critica Sociale",
Giuseppe Faravelli, fin� col trovarsi emarginato dal partito e alla
fine lo abbandon�. Rientrato nella "casa madre", il
partito socialista italiano, dovetti prendere atto che l� Turati
era stato relegato in soffitta e la porta era stata rudemente
sprangata.
Il mio "turatismo" ebbe modo di manifestarsi solo nel
1956, quando per effetto del XX congresso di Mosca, quello del
"rapporto Krusciov" entrarono in crisi gli schemi
ideologici di marca comunista dentro i quali era stata mortificata e
compressa la storia del socialismo italiano. Scrissi allora per la
"Rivista Storica del Socialismo" al suo primo numero un
articolo assai frettoloso e assai polemico, intitolato"Giudizi
e pregiudizi su Filippo Turati", che non si levava alla
superiore serenit� della storia e che fece scoppiare il putiferio
nella redazione per un malizioso raffronto tra il patriottismo
neutralista di Turati e il combattentismo di Togliatti, raffigurato
in un manifesto da divisa di alpino.
Da allora molte volte sono ritornato sulla figura di Turati e non ho
difficolt� ad ammettere che, al di l� del giudizio storico, il mio
sentimento di ammirata devozione si � rafforzato: a costo di
ricorrere a una espressione contaminata dal maluso, direi che, di
fronte a tutti i grandi eventi della storia d'Italia da lui vissuti,
Turati ebbe sempre ragione.
Turati ebbe ragione quando sul calare del secolo, collegandosi al
grande filone del socialismo europeo di cui la Germania era il faro,
contro i dottrinari e gli agnostici, fece nascere il partito
socialista in Italia ed ebbe ragione quando nella crisi di fine
secolo, fitta di persecuzioni e segnata di morti - egli stesso si
ebbe una condanna a dodici anni di reclusione e in galera fin�
anche Anna Kuliscioff - egli elabor� una linea che era di difesa
dell'autonomia del giovane partito, ma anche rifiuto dell'isolamento
che colloc� i socialisti nel cuore della vasta alleanza che rese
possibile la svolta giolittiana.
Turati ebbe ragione quando condann� l'impresa libica e la defin�
una guerra contro l'Italia. I motivi ideali e dottrinali della sua
opposizione si caricano di quel realismo politico che non � cinico
adeguamento a una realt� deterministicamente vista come priva di
alternative. La guerra dar� una scossa al precario equilibrio
internazionale, disperder� e distrugger� risorse di cui il paese
� povero, esalter� le correnti nazionalistiche, antiparlamentari e
antiliberali emergenti nel paese, far� entrare nel costume
l'accettazione della crudelt� e della violenza. "Da voi ci
divide il ribrezzo", dir� a commento delle fotografie degli
arabi impiccati.
Turati ha ragione quando si oppone all'intervento dell'Italia in
guerra. Anche questa volta le ragioni dell'etica e della dottrina si
fondono con quelle della politica. Le sue simpatie vanno
all'Inghilterra liberale e alla Francia repubblicana, ma gli riesce
difficile credere che esse siano scese in campo, sacrificando vite
umane e ricchezze, per difendere l'autonomia e la libert� dei
popoli a fianco del pi� reazionario e spietato regime d'Europa, la
Russia zarista, nota e denuncia che l'intervento reclamato quale
evento liberatorio anche da amici a lui cari, � stato imposto da
una minoranza facinorosa che ha mobilitato con crescente audacia la
piazza a una maggioranza neutralista - socialisti, cattolici,
giolittiani - vibrando cos� un duro colpo, destinato a lasciare il
segno, alla sovranit� del parlamento. Respinge con fermezza la
tesi, gi� intrisa di fascismo nascente, che l'interventismo sia
l'equivalente del patriottismo, ma alla tenuta del fronte interno d�
un apporto di decisiva importanza schierandosi con le organizzazioni
sindacali e le amministrazioni rosse - esemplare il caso della
Bologna di Zanardi - che difendono e assistono le classi pi�
colpite dalla guerra, si oppongono al rincrudimento delle
ingiustizie sociali volute da "padroni del vapore",
favorite dalla militarizzazione del regime di fabbrica. Il suo
discorso dopo Caporetto "Anche la nostra patria � sul
Grappa" raggiunge le trincee.
Il testo che in questa sede si ricorda e si commenta ha dietro di s�
questa storia. Carlo Lacaita, corredandolo di preziose note, ne ha
magistralmente illustrato la genesi, il contenuto, la collocazione
nella storia del socialismo italiano e del paese, ne ha posto in
luce la straordinaria lucidit� di analisi politica, la eccezionale
modernit� rispetto ai tempi.
L'incubazione del discorso � lunga - se ne possono trovare i primi
segni negli anni di guerra nei rapporti di Turati con la
Confederazione Generale del Lavoro - ed il frutto di una
collaborazione dove parecchi sono i consiglieri, ma dove la spinta,
insistentemente ripetuta, politicamente e appassionatamente,
motivata viene ancora una volta da Anna Kuliscioff e dove le
proposte concrete e documentate vengono da Angelo Omodeo, un
ingegnere, tecnico di altissimo livello, legato da affettuosa
devozione a Anna e Filippo. Turati vi porta le sue riflessioni, le
conoscenze e le esperienze maturate nella direzione della sua
rivista e nell'aula di Montecitorio, d� al discorso la sua
inconfondibile impronta, imprimendogli il respiro di chi conosce il
peso del passato ma sa proiettarsi nell'avvenire.
Prima di questa edizione destinata a trovare un posto di rilievo
nella storiografia socialista, il testo di "Rifare
l'Italia" era stato pi� volte riprodotto a partire dal momento
in cui era stato pronunciato ma ne era stata fin qui sottovalutata
la novit� - un articolato programma di governo presentato alla
Camera dal maggior parlamentare socialista, pi� ancora, non ne
erano stati colti gli stimoli che ne vengono all'allargamento e
all'arricchimento della problematica storiografica relativa al primo
dopoguerra.
La premessa, fermissima, pregiudiziale, dalla quale Turati � he la
guerra - l'orrendo "misfatto" della guerra - ha creato le
condizioni economiche, sociali, politiche, psicologiche, per le
quali non � pi� possibile ritornare alle pratiche del passato. la
borghesia non � pi� in grado di governare secondo i suoi metodi
tradizionali, il proletariato non ha la forza e la maturazione
necessarie per sperimentare i suoi. Il suo alter ego, Claudio Treves,
lo aveva gi� detto e aveva concluso con una frase che ha
l'ineluttabilit� della profezia: � l'ora dell'espiazione. Turati,
per atto di volont� pi� che di fede non vuole crederci: cos�,
egli commenta, si pu� chiudere un dramma, non si chiude il cammino
della storia. Il suo tentativo � rivolto a fare in modo che il peso
della espiazione non ricada sugl'innocenti.
E' questo il senso del suo discorso ed � questo spirito che ne fa -
a prescindere dal merito - un capolavoro di oratoria parlamentare
senza precedenti che io ricordi nell'aula di Montecitorio.
C'� un'analisi politica finissima, ravvivata dall'ironia, del
trapasso da Nitti a Giolitti, dove si trovano, sui due personaggi,
spunti di giudizi che hanno validit� storica; c'�, ricorrente,
sullo sfondo, la visione della realt� di un paese squassato dalla
guerra e percorso da un'ondata massimalistica, che � fenomeno non
limitato al partito socialista perch� esiste e imperversa una sorta
di massimalismo di destra, una demagogia reazionaria e anche di
governo, che opera pi� a fondo ed � assai pi� nefasta; c'� la
consapevolezza degli effetti negativi di cui anche l'Italia risente
di una situazione internazionale che � di pace senza pace. In
questo quadro i problemi dell'Italia da rifare ci sono tutti,
puntuali, concreti, articolati in proposte: risanare la finanza e
sviluppare l'economia colpendo i capitali di speculazione e di
rapina, ma soprattutto - � questa l'intuizione nuova - coinvolgendo
nell'opera di ricostruzione la scienza, quella vera della quale il
suo amico Omodeo � vivente esempio - per promuovere lo sfruttamento
razionale di tutte le risorse naturali del paese, le acque per
produrre energie, le paludi da bonificare, i latifondi incolti da
mettere a frutto, il Mezzogiorno da risanare, la rete ferroviaria.
Il discorso si conclude con una nota tipicamente turatiana, col
richiamo a uno scritto di Cavour del 1847 su "Les Chemins de
fer en Italie" e con un ironico, garbato rimpianto che non sia
lui a sedere al posto di Giolitti.
La chiusa non ha accenni solenni. Si ha l'impressione che egli abbia
parlato "a futura memoria", che in cuor suo,
inconfessatamente, egli si aspetti, come l'amico Treves che scocchi
l'ora dell'espiazione.
Ancora una volta Turati aveva ragione, ma non gliela riconobbe
neanche il consiglio direttivo del suo gruppo parlamentare il quale
non consent� che l'ordine del giorno nel quale venivano
sintetizzate le sue proposte fosse sottoposto al voto della Camera.
Gliela riconobbe tardivamente, ormai in sede storica un uomo della
levatura intellettuale e morale di Umberto Terracini, allora tra i
giovani capi della frazione comunista che si batteva per
l'espulsione di lui e della sua corrente dal partito. Turati, egli
disse, aveva ragione.
L'ultima occasione di aver ragione Turati la colse nella ultima fase
della sua esistenza quando, evaso dall'Italia grazie a Carlo
Rosselli e Ferruccio Parri, a Sandro Pertini e ai loro amici, in
terra d'esilio, lanci�, argomentandolo e motivandolo, il monito
alla democrazia e alla socialdemocrazia d'Europa che il fascismo non
era un deteriore fenomeno di folklore politico di un popolo
arretrato ma l'espressione di una tendenza del capitalismo operante
su scala europea che minacciava la libert� e la pace di tutti i
popoli.
Turati non era un profeta e se ebbe ragione fu per le sue doti
altissime di moralit� e d'ingegno ma anche perch� egli fu maestro
di una cultura, il marxismo filtrato attraverso il positivismo
umanitario lombardo ma conservandone il nerbo dialettico che manc�
ai dottrinari e agli ortodossi che contro di lui si levarono.
Mi hanno insegnato e ho insegnato che la storia non si scrive con i
se e che non conosce i torti e le ragioni. Ma il gioco dei
"se" pu� giovare a capir meglio la storia nella sua
perenne dialetticit�, a identificare la responsabilit� e a onorare
le grandezze degli uomini, e mi provo a immaginare una storia
d'Italia e d'Europa quale sarebbe stata se le ragioni di Turati
fossero state riconosciute per tempo e si fossero tradotte in atti e
in fatti.
Lo dico, e ne chiedo venia come della fantasia senile di chi ha
praticato il mestiere di storico nel rispetto della verit�, col
rigore del metodo, ma anche con una passione civile trasmessagli
anch'essa dai suoi maestri e alla quale resta fedele.
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